54 citazioni di autori vari
Massa è "l'uomo medio".
Abbiamo solo la nostra storia ed essa non ci appartiene.
La cosa più grande al mondo è sapere come appartenere a se stessi.
L'uomo è un animale sociale, le persone non sono fatte per stare da sole.
Non è possibile tracciare un confine tra la psicologia sociale e quella individuale.
La coppia è una comunità i cui membri hanno perso la loro autonomia senza liberarsi della solitudine.
Finché può, la massa accoglie in sé ogni cosa; ma proprio perché accoglie ogni cosa, essa si disgrega.
La gente sta in gruppo perché da sola si sente insicura. Io sto da solo perché in gruppo mi sento insicuro.
L’illusione opera sia a livello della coscienza individuale che della consapevolezza collettiva del gruppo.
Il lavoro intellettuale strappa l'uomo alla comunità umana. Il lavoro materiale, invece, conduce l'uomo verso gli uomini.
L'uomo non può trovare se stesso, non può pervenire alla coscienza della propria individualità che attraverso la vita sociale.
In assenza di comunità, costruiamo un senso di sé dalle nostre relazioni. Così un cuore spezzato minaccia di più la nostra identità.
Dicesi problema sociale la necessità di trovare un equilibrio tra l'evidente uguaglianza degli uomini e la loro evidente disuguaglianza.
I diritti individuali non possono essere annullati a favore dei doveri sociali, se non al prezzo di conseguenze nevrotiche. (da "Star male di testa")
La psicologia sociale si interessa specialmente dell'effetto che il gruppo sociale ha nel determinare le esperienze e il comportamento dell'individuo.
Tuo figlio ci appartiene già. Chi sei tu? Sei acqua passata, ma i tuoi discendenti sono già schierati nel nuovo campo. E in breve tempo non sapranno altro che questo.
Guai all'uomo di studio che non appartiene a nessuna consorteria; gli saran rimproverati anche i più piccoli e incerti successi, e l'alta virtù trionferà derubandolo.
L'evoluzione ha fatto dell'Homo Sapiens, come di altri animali sociali, una creatura xenofobica. Il Sapiens divide istintivamente l'umanità in due gruppi, "noi" e "loro",
Ogni sviluppo veramente umano significa sviluppo congiunto delle autonomie individuali, delle partecipazioni comunitarie e del sentimento di appartenenza alla specie umana.
I fatti sociali non sono il semplice sviluppo dei fatti psichici; ma i secondi non sono in gran parte che il prolungamento dei primi all'interno delle coscienza. [Émile Durkheim]
Una famiglia non è un gruppo di parenti; è più dell'affinità del sangue, deve anche essere un'affinità del temperamento. Un uomo di genio spesso non ha famiglia. Ha dei parenti.
L'individuo in massa acquista, per il solo fatto del numero, un sentimento di potenza invincibile. Ciò gli permette di cedere a istinti che, se fosse rimasto solo, avrebbe necessariamente tenuto a freno.
Io appartengo a quella religione stoica che non ha nessun dogma e nessuna speranza di vita futura, ma ha in comune col Cristianesimo il rispetto della libertà, il bisogno della giustizia, l’istinto della carità umana.
Fin dalla nascita, l'individuo è inserito in un contesto socioculturale il cui scopo principale è creare azioni e pensieri automatici indispensabili per mantenere la struttura gerarchica della società a cui appartiene.
Massa è tutto ciò che non valuta se stesso né in bene né in male mediante ragioni speciali, ma che si sente "come tutto il mondo", e tuttavia non se ne angustia, anzi si sente a suo agio nel riconoscersi identico agli altri.
E’ nella forma dell’altro generalizzato che il processo sociale influenza il comportamento degli individui coinvolti in esso e che lo realizzano; in altre parole, che la comunità esercita controllo sulla condotta dei suoi singoli membri.
Ogni esperienza di disagio psichico è riconducibile ad un conflitto strutturale tra appartenenza e individuazione, vale a dire tra doveri sociali e diritti individuali rappresentati a livello conscio e, più intensamente, a livello inconscio.
L'uomo d'oggi ha ereditato un sistema nervoso che non sopporta le attuali condizioni di vita. In attesa che si formi l'uomo di domani, l'uomo d'oggi reagisce alle mutate condizioni non opponendosi agli urti bensì facendo massa, massificandosi.
Il raccogliersi dentro di sé è il primum movens della liberazione dei condizionamenti sociali. Chi riesce a stare solo è spinto immediatamente a capire quanto è assurdo, disumano e incivile il way-of-life quotidiano. (da "Star male di testa")
I sentimenti della massa sono sempre semplicissimi e molto esagerati. La massa non conosce quindi né dubbi né incertezze. Corre subito agli estremi, il sospetto sfiorato si trasforma subito in evidenza inoppugnabile, un’antipatia incipiente in odio feroce.
L'inconscio umano che, rispetto alla coscienza, è sempre più fedele ai bisogni sui quali si costruisce la personalità, nutre costantemente una duplice ossessione: l'appartenenza ad un gruppo e ad un ordine culturale, e la libertà individuale. (da "Star male di testa")
Ci si riunisce in gruppi, perché l'obbedienza permette di fare tutto quello di cui per convinzione propria non si sarebbe più capaci, e l'inimicizia di quei gruppi dona agli uomini la sempre operante reciprocità della vendetta, mentre l'amore ben presto si addormenterebbe.
Il comportamento di un individuo può essere compreso solo nei termini del comportamento dell'intero gruppo sociale di cui è membro, dal momento che i suoi atti individuali sono implicati in atti sociali più grandi, che vanno al di là di se stesso e che coinvolgono gli altri membri di quel gruppo.
È l'incoscienza dei nostri determinismi che ci fa credere alla nostra coscienza come alla nostra libertà. Il termine "coscienza" dovrebbe forse essere riservato alla coscienza della nostra incoscienza, alla coscienza del fatto che siamo completamente incatenati al nostro substrato biologico e al nostro ambiente sociale.
Non subordinarsi a niente, né a un uomo né a un amore né a un'idea; avere quell'indipendenza distante che consiste nel diffidare della verità e, ammesso che esista, dell'utilità della sua conoscenza. [...] Appartenere: ecco la banalità. Fede, ideale, donna o professione: ecco la prigione e le catene. Essere è essere libero.
Appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano. Che cosa? Che tutto si chiarisca? L'età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni.
La massa è straordinariamente influenzabile e credula, è acritica, per essa non esiste l’inverosimile. Pensa per immagini, che si richiamano vicendevolmente per associazione come, nel singolo, si adeguano le une alle altre negli stati di libera fantasticheria: queste immagini non vengono valutate da alcuna istanza ragionevole circa il loro accordo con la realtà.
Il voler essere inattuali permette di appartenere a ogni epoca, libera dalla tirannia di dover essere del proprio tempo: indica quasi una prospettiva di eternità laddove gli altri si invischiano nella quotidianità più ottusa. Rifiutare la moda significa anche non venerare l'uniforme del momento e le pratiche di massa — e nello stesso tempo difendere una singolarità che si afferma.
Il diritto di appartenenza ad un gruppo di qualsiasi tipo ha un tacito prezzo da pagare, che consiste nell'essere uniti nel non vedere i sentimenti di disagio e di timore di ciascuno e certamente nel non mettere mai in discussione una qualsiasi cosa che metta in dubbio i modelli di comportamento del gruppo. Il pericolo per il gruppo che ha adottato un simile ordinamento è che il dissenso, anche nella sua forma più positiva, viene represso.
Perché la solitudine è così terribile? Perché noi, come individui isolati, non esistiamo. La nostra lingua, le nostre emozioni, il modo di comportarci, le mete, le speranze le prendiamo dai genitori, dai maestri, dagli amici, dagli altri. Viviamo nella nostra comunità come il bambino nel ventre della madre, fuori c'è il deserto, l'esilio: trovarsi fra gente che non conosci e che non ti conosce, che non ami e che non ti ama, a cui non sai cosa dire e che non ha nulla da dirti.
Dalla comparsa della specie umana (circa 200mila anni fa) sino ad un'epoca relativamente recente (qualche migliaio di anni fa), l'uomo è vissuto in una condizione di totale subordinazione al gruppo di appartenenza tal che egli concepiva se stesso solo in funzione del gruppo stesso. Questa sterminatamente lunga esperienza di socializzazione radicale ha impregnato la falda più profonda dell'inconscio, laddove vige ancora oggi il primato del sociale sull'individuo, vale a dire dei molti sull'uno.
Quando ti definisci Indiano, Mussulmano, Cristiano o Europeo, o qualsiasi altra cosa, tu diventi violento. Ci arrivi da solo al perché. Perché ti stai separando dal resto dell'umanità. Quando ti definisci in base ad un credo, cultura, nazionalità, tradizione, questa azione traspira violenza. Così un uomo che cerca di comprendere la violenza, non dovrebbe appartenere a nessuna nazione, religione, schieramento politico o parte di sistema; egli dovrebbe comprendere che è parte del totale dell'umanità.
Solitamente la società utilizza il bisogno di appartenenza per indurre processi di normalizzazione conformistica, riferiti a valori che possono anche essere mediocri ma raramente sono disumani. In particolari situazioni la spinta conformistica avviene, però, sulla base di valori culturali o ideologici che comportano il sacrificio dell’empatia sull’altare di essi. Il peso che il bisogno di appartenenza esercita a livello inconscio è effettivamente l’indizio di una sostanziale vulnerabilità degli esseri umani alle influenze ambientali.
Cos'è allora che ci porta veramente? È difficile dirlo. Forse del tutto non lo sappiamo. Riconosciamo in noi motivazioni. Diamo nomi a queste motivazioni. Ne abbiamo tante. Alcune pensiamo di condividerle con molti animali. Altre solo con gli esseri umani. Altre ancora con gruppetti più piccoli a cui percepiamo di appartenere. Fame e sete, curiosità, bisogno di compagnia, voglia di amare, innamoramento, ricerca della felicità, bisogno di conquistarci una posizione nel mondo, di essere apprezzati, riconosciuti, amati, fedeltà, onore, amore di Dio, sete di giustizia, libertà, desiderio di conoscenza...
La gente si aggrappava ciecamente a tutto quello che trovava: comunismo, macrobiotica, zen, surf, ballo, ipnotismo, terapie di gruppo, orge, ciclismo, erbe aromatiche, cattolicesimo, sollevamento pesi, viaggi, solitudine, dieta vegetariana, India, pittura, scrittura, scultura, composizione, direzione d'orchestra, campeggio, yoga, copula, gioco d'azzardo, alcool, ozio, gelato di yogurt, Beethoven, Bach, Buddha, Cristo, meditazione trascendentale, succo di carota, suicidio, vestiti fatti a mano, viaggi aerei, New York City, e poi tutte queste cose sfumavano e non restava niente. La gente doveva trovare qualcosa da fare mentre aspettava di morire.
La massa è impulsiva, mutevole e irritabile. È governata quasi per intero dall’inconscio. A seconda delle circostanze gli impulsi cui la massa obbedisce possono essere generosi o crudeli, eroici o pusillanimi; sono però imperiosi al punto da non lasciar sussistere l’interesse personale, neanche quello dell’autoconservazione. Nulla in essa è premeditato. Pur potendo desiderare le cose appassionatamente, non le desidera mai a lungo, è incapace di volontà duratura. Non tollera alcun indugio fra il proprio desiderio e il compimento di ciò che desidera. Si sente onnipotente, per l’individuo appartenente alla massa svanisce il concetto dell’impossibile.
In un'epoca di turbamenti la vita quotidiana diventa un esercizio di sopravvivenza. Gli uomini vivono alla giornata; raramente guardano al passato, perché temono d'essere sopraffatti da una debilitante "nostalgia", e se volgono l'attenzione al futuro è soltanto per cercare di capire come scampare agli eventi disastrosi che ormai quasi tutti si attendono. In queste condizioni l'identità personale è un lusso, e in un'epoca su cui incombe l'austerità, un lusso disdicevole. L'identità implica una storia personale, amici, una famiglia, il senso d'appartenenza a un luogo. In stato d'assedio l'io si contrae, si riduce ad un nucleo difensivo armato contro le avversità. L'equilibrio emotivo richiede un io minimo, non l'io sovrano di ieri.
È interessante cercare di capire le ragioni per cui le persone sono così attaccate a questo concetto di libertà. Innanzitutto, è rassicurante per l'individuo pensare di poter "scegliere" il proprio destino perché è libero. Può costruirlo con le sue mani. Eppure, curiosamente, appena viene al mondo, cerca sicurezza nell'appartenenza a gruppi: familiari, poi professionali, di classe, di nazione, ecc. che non possono che limitare la sua presunta libertà, poiché le relazioni che si stabiliranno con gli altri individui del gruppo saranno basate su un sistema gerarchico di dominio. L'uomo libero non desidera altro che essere paternalizzato, protetto dal numero, dall'uomo eletto o provvidenziale, dall'istituzione, da leggi che sono stabilite solo dalla struttura sociale del dominio e per la sua protezione.
La planetizzazione significa ormai comunità di destino per tutta l'umanità. Le nazioni consolidavano la coscienza delle loro comunità di destino con la minaccia incessante del nemico esterno. Ora, il nemico dell'umanità non è esterno. È nascosto in essa. La coscienza della comunità di destino ha bisogno non solo di pericoli comuni, ma anche di un'identità comune che non può essere la sola identità umana astratta, già riconosciuta da tutti, poco efficace a unirci; è l'identità che viene da un'entità paterna e materna, concretizzata dal termine patria, e che porta alla fraternità milioni di cittadini che non sono affatto consanguinei. Ecco che cosa manca, in qualche modo, perché si compia una comunità umana: la coscienza che siamo figli e cittadini della Terra-Patria. Non riusciamo ancora a riconoscerla come casa comune dell'umanità.
Ci sono vecchie foto che riguardiamo con gioia, ci sembra di rivivere ogni cosa, osserviamo i nostri volti così "diversi", a volte non esteticamente, ma nella sostanza che solo noi percepiamo, e ci riconosciamo con altre sensazioni, altri gusti. Di alcuni vissuti avvertiamo nuovamente stati d'animo e profumi, ricordiamo ogni particolare, di come stavamo in quel preciso momento, prima dello scatto. Ci sentiamo sia vicini che lontani, in uno strano effetto spazio-tempo. Poi ci sono altre foto, quelle che scorriamo veloci, che vorremmo avere già buttato, che quasi ci infastidiscono, che ci imbarazzano per come eravamo, con le nostre sofferenze e le nostre ingenuità, di cui sentiamo ancora un disagio misto a vergogna, immagini rovinate da quegli attimi che vorremmo dimenticare, da storie che non ci appartengono più, come vecchie fotografie di cui ci è rimasto soltanto il negativo.